Archive for misteri svelati

Il segreto di Stefania

Beh, si, non è che uno può rimettersi a scrivere così dopo 3 anni. Io non volevo, infatti.
Ma poi qualcuno. Beh.
Qualcuno mi ha detto “Sai, l’ha fatto di nuovo.”
E ho capito che Stefania Sandrelli aveva oltrepassato il limite. La sua senilità impazzita l’aveva portata costruirsi mondi paralleli e qualcuno doveva intervenire.
Stefania Sandrelli, dopo l’ennesimo ruolo al cinema di mamma un po’ in crisi di figlia 40 enne, che è un po’ in crisi, ma che alla fine si riabbracciano tutte e due e qualcuno canta, lei canta, la figlia canta, ha iniziato a pensare di aver bisogno di calcio e che tutti ne avessero bisogno, e così sul set aveva iniziato ad infilare nelle tasche delle persone dei pezzi di formaggio, e così l’hanno mandata in analisi.
Ma lei no, lei non poteva, non doveva, non capiva. Doveva solo mangiare calcio. Assumere calcio. Amare calcio. Pensare calcio. E non importava che il sovraccarico di calcio provocasse urine acide, stipsi,  gastralgia, stanchezza, sonnolenza, palpitazioni, calcificazione dei tessuti molli, reni, pancreas, cornee, alveoli polmonari, arterie, articolazioni. Lei doveva mangiare calcio e aveva fondato una combriccola di signore un po’ così che mangiavano calcio tutto il giorno. Nel latte, nel formaggio. Nelle pastiglie. Nel calcio.
E a fine giornata, lei sacerdotessa di sto Gran Calcio, le sferzava con la biblica verga fatta di mozzarella filata rafferma e le incitava a assumere calcio, sempre di più e ancora e ancora. E loro si contorcevano, nei loro tailleur pastello sporcati da grandi macchie di squacquerone, invocando l’elemento chimico di numero atomico 20. No. Non era un bello spettacolo, a vedersi.

Così un giorno decisi di seguirle, beffardo, durante i loro giri. E ad ogni angolo di strada si avventavano con inaudita ferocia su falliche forme di grana che estraevano dalle borsette e i passanti cambiavano marciapiede. Non c’era dignità in loro e nei rivoli di latte che scendevano dai loro volti trasfigurati.
Entrarono così una macelleria e, guarda un po’ tirarono fuori, come si fa sempre nelle macellerie d’altronde, uno yogurt ad altissimo contenuto di calcio.

Si. Dovevate vederle, come erano felici. Tutte e tre.
Avevano comprato lo yogurt in rete, con una carta di credito clonata, a nome Stefano Sandrella, poiché il prodotto era vietatissimo in occidente. Ogni cucchiaio era equivalente a 8 forme intere di parmigiano reggiano, invecchiato 16 anni, in botti foderate di calcio.
Ma dovevo fare qualcosa, spegnere i loro sorrisi, ormai paralizzati.

Mi avvicinai e sussurrai sottovoce “Signore, scusate. Avevo appoggiato qui le mie confezioni di yogurt a bassissimo contenuto di calcio, le avete viste?”

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herpes zoster

Quando ero adolescente ero alto e taciturno. Un giorno chiesi ad un compagno di squadra quale fosse il suo gruppo preferito, lui voltò la sua faccia da cazzo e rispose: gli eurythmics. La sua risposta e la sua ‘r’ moscia mi fecero decidere che da quel momento avrei odiato l’umanità.
Poi mi guardai intorno e uno stava festeggiando la propria vittoria personale sulla forfora. Uno entrò annunciando che aveva scopato per la prima volta, e un altro scoreggiò. In allenamento feci 1 canestro e fui deriso. Al mio ritorno il mio portafoglio era sparito.
Tuttavia ero contento. E lo rimasi per sempre. Non ero io quello a cui era toccato piacere gli eurythmics. E da allora, quando sto male, penso ‘cristo, poteva andarmi peggio, potevano piacermi gli eurythmics’ e mi tiro un po’ su.
Sono tornato dalla Francia e il lungo peregrinare per le bianche montagne di sale della Camargue mi ha dato la forza per denunciare la scomoda verità di cui vi accennavo.
Potevo tacere, certo, potevo non aprire quel link, arrivato in una mail dal mittente ‘un amico’. Potevo magari chiudere il browser e dimenticare. Ma mentre ero li, solo, sbattuto dal vento, a chinino, intento ad erigere il mio personale totem nelle non più bianche montagne di sale della Camargue, una voce mi ha intimato ‘disvela ciò che è sopito’.
E tornato qui, sono, con la fierezza dei giusti a denunciare uno scempio immane.
Qualcuno, accecato dal successo e dalla ricchezza di ZBob, come su una squallida scacchiera, ha manovrato le sue pedine, ed il risultato è questo


Percepite il mio stesso orrore? Percepite la triste macchinazione nei confronti del nostro?

Ora capite cosa mi ha spinto ad esitare?
Sven, questo il nome dell’impostore, si fregia di un sorriso beffardo e di una mano tesa. Ma le sue intenzioni sono ben altre.
Sciagura a te! Oscuro ciarlatano! Non eclisserai il sole, ma ne verrai bruciato!

Ora lasciatemi riposare.
Il fardello che ho portato per lungo tempo mi ha logorato e mi ha fatto venire un herpes.

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whatever happened to Angela?

Ho per le mani del materiale molto scottante.
Non so. Non so davvero che fare.

Me ne vado in Francia per un po’. Devo riflettere.

Al mio rientro farò un po’ di chiarezza.
Per il momento posso solo accennare un cosa.

Io. Voi. Non abbiamo mai capito un cazzo. Nulla è come sembra.

Au revoir.

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autogriglia mortale

Sono tra noi. E non le vediamo.
Sono tra noi e presto prenderanno il controllo.
La maggioranza silenziosa, invisibile, oscura.
Chi sono veramente? Che cosa vogliono? Quale il loro piano?
Sono le signore fuori dai cessi dell’Autogrill.
La categoria di lavoratori più sinistra ed evitata. La gente non conosce, la gente non sa. La gente ha PAURA.
Dove nasce questa anomalia? Perché sono le uniche persone che possono chiedere mance?
Perché non posso mettere IO in ufficio un piattino? Perché la loro lobby è potente, ecco perché. E governa il mondo.
Io ho paura, ogni giorno. Quando scendo quelle scale, oscure e sdrucciolevoli scale che portano al loro regno io mi sento l’aria mancare. E sento quegli occhi su di me. Quegli occhi ardenti come brace. Quegli occhi di finta pietà. Quegli occhi inquisitori. Che mi seguono fino al cesso, rovistandomi dentro. Violentando la mia intimità.
E mentre piscio, un oscuro presagio. L’occhio di Mordor è li, l’occhio di Mordor mi sta guardando. Esco, una veloce lavata di mano, mentre guardo lo specchio e vedo un uomo impaurito, pallido, che attende il suo destino. Stento a riconoscermi. Lo sguardo si sposta e vede riflesso nello specchio un volto malvagio, una moderna Clara Calamai, che scruta, che esorta, che sconvolge. Eccolo, lo sguardo osceno di Mordor, che mi aspetta, che mi chiama, che mi uccide.
Abbasso gli occhi tremante e mi asciugo le mani, 47 minuti sotto il sifone incandescente, nella speranza che Lei se ne vada, che Lei mi risparmi. Ma la vita è beffarda. E cinica. E il mio destino è segnato. Lentamente, respiro, esco e sento i suoi occhi che squartano le mie carni. E come uno stiletto della Oscura Misericordia, arriva lapidario il suo ‘buongiorno’ carico di odio e morte, per punire la mancanza di mancia.
Mentre salgo le scale, piango e sento il suo gitano odio pugnalarmi alla schiena, ma ormai sono fuori. Ormai sono salvo.
All’ultimo gradino mi accorgo con orrore di aver lasciato il portatile al cesso. Valuto rapidamente il da farsi. Poi, con un sorriso, esco dall’autogrill.
Non tornerò la sotto.
Non tornerò all’inferno.

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magical mistery tour

Due anni fa, la domenica pomeriggio, che facevo? Boh? Andavo al cinematografo, o a fare una passeggiata, o a giocare a calcio. Insomma cose normali, noiose. Poi è nata M ed è come se mi fosse arrivato per posta un free pass per i migliori eventi in circolazione. E quando dico migliori, dico esclusivi. E quando dico esclusivi, dico tipo che se si presenta paris hilton la prendono a ceffoni.
Così la mia gold card per l’humus nascosto e inverecondo di questa società brilla ogni domenica pomeriggio, e ogni volta io godo come un titano, perché ogni cazzo di domenica io mi immergo fino al collo nella maleodorante melma sub-trash delle attività cittadine per bambini.
Domenica, ad esempio, sono finito dal Mago Marko.
Giunti nell’edificio, un po’ in ritardo, mi aspetto di sentire applausi e risate, ma uno strano silenzio permea i corridoi. Vedo una porta. E un cartello: solo per ogi, il Mago Marko. (sic)
Apro la porta, e siamo investiti da una corrente di aria calda e puzza di bambino sudaticcio. Il colpo d’occhio è agghiacciante: per terra sono ammassati 50 bambini, accaldati e rossi in volto. Davanti ai bambini un uomo vestito di nero. Dietro l’uomo una vecchia.
L’uomo, capisco, è il mago Marko, la vecchia è sua madre, vestita come una duchessa a bordo del Titanic, con grossi occhiali scuri e una pettinatura alta 50 cm.
M mi chiede di tornare a casa, ma il mio cuore batte ormai a mille: non mi perderò questo spettacolo per nulla al mondo. Il mago Marko, fondamentalmente, è un delinquente croato che si è inventato mago per sfuggire alla giustizia, non si capisce altrimenti il perché dei sui trucchi datati e privi di fascino: nessun bambino infatti ride o applaude ai suoi giochetti, complici anche i 70 gradi che persistono all’interno della sala. Lui ci prova, usando strumenti del kit del mago di Silvan del 1983, insomma non si risparmia, ma niente. La platea non si infiamma. La vecchia per contro conduce una lotta solitaria contro il caldo africano e il pesante trucco sul suo volto è ormai completamente sciolto: ormai sembra una spaventosa maschera voodoo. Marko ce la mette tutta e prova trucchi su trucchi, intervallandoli con bestemmie croate all’indirizzo dei bambini che si stanno slogando la mascella a forza di sbadigli. Neppure quando inizia a raccontare della amicizia con harry potter la platea ha un sussulto, ormai l’attenzione di tutti è rivolta, con timore, alla totemica madre ormai trasfigurata che campeggia alle sue spalle.
Ad un certo punto Marko chiede un volontario, ma i bambini si ritraggono e molti si mettono a piangere, cosi ne prende uno, tirandolo forte per un braccio, vincendo la forza del genitore che lo tirava dall’altro. La madre-spettro avanza lentamente e i brividi scuotono le schiene di molti: con un accento à la Lugosi annuncia il Gran Finale.
Porge, non si capisce il motivo, al bambino un paio di occhiali finti, di quelli con il naso finto e i baffi e gli chiede di indossarli. Lui ci prova, ma appena li tocca, questi si rompono. La platea, nervosamente, scoppia a ridere di quell’improvvisato sketch e come in un moto liberatorio inizia a tirare pop corn all’indirizzo del menagramo croato, dello spettro zulu e del malcapitato bambino.
Non l’avessero mai fatto. Il mago, raggiunto in volto dai pop corn, inizia a urlare, mentre la madre recita con voce profonda parole sconosciute. Molto fumo si inizia in intravedere in sala e un tremito scuote il pavimento. Uno squarcio profondo si apre sotto i nostri piedi e molti bambini e genitori vengono inghiottiti. Io, M e P raggiungiamo correndo l’uscita, mentre le fiamme iniziano ad avvolgere l’edificio.
Saliti in macchina parto sgommando, mentre osservo dallo specchietto il palazzo che crolla.
Guardo M e le chiedo se il mago le è piaciuto: lei mi guarda e cerca di dire qualcosa tipo vaff, ma non capisco bene, così le accarezzo la testa pensando ‘ah, questi piccini’ e accendo la radio, pregustando già i burattini di domenica prossima.

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